82. Nagasaki (Giappone)

Ore 6:00 sono sveglia, doccia, colazione.

Sembra ci sia sereno, così prendo il giubbino leggero ed esco a poppa per tastare la temperatura esterna: freschetto ma si sta bene.

Il cielo è magnifico, terso, di un color azzurro brillante!

Scatto qualche immagine mentre la Deliziosa entra nel porto di Nagasaki, rientro poi in cabina e quando Stefano è pronto, verso le 8:00, saliamo al Teatro Duse.

Abbiamo l’incontro per l’escursione alle 8:30.

Appena scesi dalla Nave, ci accoglie un gruppo di artisti che con flauto e tamburi ci aiuta ad entrare nel giusto stato d’animo per iniziare l’escursione, non prima di aver passato i controlli al Terminal.

Il personale addetto, ci indica la direzione verso i posti di controllo dove presentiamo al copia del nostro passaporto sulla quale, l’altro ieri a Kobe, è stato posto un adesivo.

Il controllore ci restituisce a due mani, in segno di rispetto, la copia del nostro documento, insieme ad un inchino e ad un sorriso. Rispondere con un inchino, un sorriso e un sincero “Arigatō” viene spontaneo.

Percorriamo ancora qualche metro e nel parcheggio del terminal troviamo il nostro pullman: il numero 33.

Le tappe della nostra escursione di oggi saranno il Santuario Yutoku Inari, un pranzo tipico giapponese e il Parco Omura.

La nostra guida si chiama Akyo e il nostro autista Yamanochi.

Con loro c’è Viviana, una delle ragazze del C-Dream, che si rivelerà un’eccellente traduttrice e una promettente guida (impegnarsi ad approfondire le tappe per supportare gli ospiti al meglio non è qualcosa da dare per scontato!), e Simone, uno dei personal trainer della Palestra.

Akyo ci spiega che il termine Nagasaki significa lunga (naga) penisola (saki), e che il nome identifica la geografia del territorio di questa prefettura.

Dalla città ci spostiamo verso nord est, passando accanto a Omura e proseguendo nel territorio di Kashima (prefettura di Saga) dove, scesi dal pullman, attraversiamo a piedi, su un ponticello, il fiume Hama e dinnanzi a noi eccolo: il Yūtoku Inari Shrine.

Anche questo santuario shintoista è dedicato al Kami Inari, e i suoi messaggeri, due volpi, le Kitsune presidiano il tari di accesso.

Le volpi sono sempre in coppia, una con la bocca aperta, “A”, la prima lettera dell’alfabeto che rappresenta l’inizio dell’Universo; l’altra con la bocca chiusa, “N”, l’ultima lettera dell’alfabeto, che rappresenta la fine dell’universo.

Il Yūtoku Inari Shrine  fu costruito nel 1688, come santuario di famiglia del Clan Nabeshima, che governò quello che poi sarebbe diventato il territorio della prefettura di Saga, che nel Periodo Edo si chiamava Hizen.

Il santuario fu costruito dalla Principessa Manko Hime di Kyoto, che sposò Nabeshima Naotomo.

La famiglia Nabeshima curava gli interessi dell’imperatore, in particolare Nagasaki che era un porto commerciale e garantiva un commercio florido e attività redditizie.

Subito dopo il tori d’accesso, sulla sinistra, c’è una vasca in pietra con dei mestoli dal manico in legno, appoggiati su canne di bambù.

Akyo ci spiega che prima di entrare nel santuario per una preghiera, è necessario purificarci.

Ci mostra come, prendendo con la mano destra il mestolo, immergendolo nella vasca, all’interno della quale l’acqua è pura, e raccogliendone quanta più possibile.

Portando poi il mestolo fuori dalla vasca, ma sempre nel perimetro delimitato dalle pietre a terra, versiamo un po’ di acqua sulla mano sinistra, strofinandone il palmo con le sue dita.

Passiamo poi il mestolo dalla mano destra alla mano sinistra, versiamo l’acqua sulla mano destra e strofiniamo anche questo palmo con le dita.

Riportiamo il mestolo nella mano destra e con la sinistra creiamo una piccola conca dove versiamo un po’ di acqua dal mestolo, portiamo la mano sinistra alla bocca; prendiamo un po’ di acqua in bocca e la sputiamo (delicatamente) fuori dalla vasca, ma sempre nel perimetro di pietra.

Fatto questo, portiamo in posizione verticale il mestolo, col manico in basso, svuotandolo fuori dalla vasca sul perimetro di pietre a terra, facendo fluire l’acqua rimasta.

Ora siamo purificati.

108 gradini ci separano dall’edificio principale, ma un comodissimo ascensore ci porta dritti dritti su.

La nostra guida ci consegna il biglietto per l’accesso all’ascensore: una piccola busta bianca, sigillata con un cuore rosso, con stampato sul retro un disegno.

Mentre Stefano sgambetta sui gradini, io mi sto già godendo questo santuario: legno, colori e una atmosfera particolare.

Ci sono tanti turisti, il vociare è persistente, ma quando mi trovo davanti all’ingresso del tempio mi viene spontaneo sorridere, me ne accorgo quando ormai gli angoli della bocca sono a poca distanza dalle orecchie.

Che pace!

Scatto qualche foto e approfitto di un attimo in cui la guida è sola per chiederle come funziona la preghiera shintoista.

Con estrema disponibilità Akyo mi accompagna.

Siamo in piedi davanti al santuario.

Davanti a noi c’è come un tavolo cavo, dove si lancia l’obolo, delle monete.

Si tirano poi i nastri collegati alle campane, per farle suonare, e devono suonare il più forte possibile: questo gesto chiama il Kami.

Si fanno due inchini profondi.

Si battono due volti le mani, molto forte.

Si congiungono i palmi delle mani, in verticale, di fronte al viso, appoggiando la punta degli indici alla fronte e si esprime la preghiera.

Mentre si fa questo non bisogna dimenticarsi di dire, nella propria mente, l’indirizzo della propria abitazione, per permettere al Kami di trovarci per esaudire il nostro desiderio.

La preghiera termina con un ultimo profondo inchino.

Tocca a me.

Eseguo la sequenza come Akyo mi ha spiegato.

Chiudo gli occhi e mentre penso alla mia preghiera sento salire una profonda commozione.

Un senso di pace profonda eppure di grande energia.

Suggestione? Forse.

Non lo so.

So che è stato piacevole.

Ripenso alla mia Chiesa dei Sales a Brescia, a quel Cristo di Emmaus a braccia aperte, a cui non serve che dica il mio indirizzo: sono certa che mi troverebbe ovunque!

Mi piace dello shintoismo la profonda connessione con la natura, quella che noi un po’ abbiamo perso, e che forse ci permetterebbe di godere un po’ di più delle meraviglie che abbiamo intorno.

E intorno c’è davvero tanto qui: dei bellissimi ciliegi in fiore segnano che la primavera è arrivata!

È invece terminata la nostra visita qui, quindi riprendiamo l’ascensore (o le scale) per ritornare al piano terra e procedere svelti al pullman.

Ci dirigiamo verso la tappa gastronomica dell’escursione: il Ristorante Kiyokawa.

Iniziò la sua attività con il nome di Taisho nel 1901 circa, quando due fratelli, Shingo e Gorosuke Narimatsu aprirono il ristorante.

La popolarità ottenuta rese necessario trasferire l’attività in quella che è la sua posizione attuale, con il nome di Ryotei Kiyokawa, venendo oggi utilizzato da moltissimi, disponendo di alcune tra le più grandi sale tatami e per banchetti di tutta Kashima.

Veniamo accolti da donne in kimono che ci accompagnano al piano superiore e dopo esserci tolti le scarpe entriamo nella sala tatami.

Due file di tavoli sono imbanditi di cibo e stoviglie.

Tutto è estremamente pulito ed ordinato.

Il cibo è ottimo e la cortesia in perfetto stile giapponese, tanto che persino il proprietario passa per i tavoli ringraziandoci per la visita inginocchiandosi e inchinandosi.

Purtroppo non siamo più abituati a questi gesti di cortesia, ormai nel nostro efficientissimo mondo occidentale siamo di fretta al punto da dimenticarci un “Grazie”.

Risaliti sul pullman, mentre ripercorriamo la  strada 444 in direzione Omura, ammirando le fronde degli alberi sulle pendici della montagna, le dighe, i fiumi, le case con la loro forma caratteristica, penso a questo paese di grande cultura e tradizioni e qualche contraddizione, alle persone che lo abitano e a noi, che stiamo “rubando” uno sguardo veloce dalla soglia di una porta spalancata su un universo parallelo al nostro occidentale.

Arriviamo al Parco Omura, uno dei 100 migliori punti di osservazione dei fiori di ciliegio in Giappone, conosciuto come uno dei luoghi di osservazione dei fiori più famosi della prefettura. Le rovine del castello di Kushima furono la residenza del clan Omura per oltre 270 anni, da quando il primo signore del dominio Omura, Yoshiaki Omura, costruì il castello nel 1599 fino alla fine del periodo Edo quando la dodicesima generazione, Sumihiro, governava il castello.

Il Parco Omura, che è stato anche selezionato come uno dei 100 parchi storici più importanti del Giappone, è stato mantenuto come un parco di fiori di ciliegio e iris, incentrato sulle rovine del castello di Kushimazaki che si affaccia sulla baia di Omura: ospita infatti circa 2.000 alberi di ciliegio, tra cui i ciliegi di Yoshino e Omurazakura,  in fiore da fine marzo a metà aprile, mentre dalla fine di maggio all’inizio di giugno sono in piena fioritura dai 100.000 ai 300.000 iris.

Il Festival dei fiori di Omura si tiene da fine marzo a metà giugno.

Se volete avere altre informazioni sul Parco Omura cliccate QUI.

Appena arrivati nel parco veniamo accolti da un’aiuola circolare piena di viole, poi un delizioso laghetto con un sacco di enorme carpe grigie e dorate, per proseguire con una spianata di iris che fioriranno a stagione inoltrata, e arrivare ad un viale di ciliegi: a fioritura piena dev’essere un capolavoro!

Arriviamo alle rovine del castello di Kushima e Akyo ci fa notare delle feritoie (triangolari, circolari e rettangolari), da cui i soldati difendevano le mura del castello con frecce e fucili, costruite in modo da obbligare chi intendeva entrare a percorrere un percorso a zig-zag, per tenerli meglio sotto tiro.

Alla fine della salita una porta tari, alla cui sinistra troviamo un bel ciliegio in fiore.

Proseguiamo e arriviamo all’Omura Shrine, il Santuario shintoista del parco.

Facciamo qualche passo su un sentiero passando sotto a dei tari che ci portano ad un altro santuario tutto rosso, questa volta dedicato al Kami Inari, con le sue volpi.

Ci prendiamo del tempo per goderci questi istanti.

La ciliegina sulla torta sono dei dolcetti che acquistiamo in un negozietto tipo take away all’interno del parco e che ci gustiamo sul pullman: sono fatti con una specie di morbida sfoglia e sono ripieni con una crema consistente dal sapore particolare e sono caldissimi!

Ritorniamo alla Nave e salutare Akyo un po’ mi spiace: avrei voluto chiedergli un migliaio di cose sul suo paese, sullo shintoismo.

Decidiamo di approfittare del tempo che abbiamo prima della partenza per fare due passi nei dintorni.

Usciamo dal terminal, percorriamo Glover Street, costeggiamo la Chiesa cattolica di Ooura e camminando un po’ su Russia Ryojikan Street arriviamo a un parcheggio da cui ammiriamo la Costa Deliziosa.

Sono un po’ giù di morale perché avrei voluto acquistare un kimono, ma qui ci sono solo negozi di dolciumi e souvenir.

Per fortuna incontriamo Gaetano, Marco e Roberta mentre stiamo ritornando alla nave e mi avvisano che ci sono delle bancarelle al terminal e una di queste vende kimoni.

In un quattro e quattr’otto arriviamo al terminal e nonostante la ressa eccolo lì: l’ultimo kimono rimasto!

La signora del banco me lo fa provare e mi mostra come indossarlo… mi sento come se avessi appena ricevuto la Santa Lucia!

Dalla felicità chiedo alla signora se la posso abbracciare, e lei, che temevo fosse un po’ reticente, mi stringe forte in un abbraccio lungo e mi ringrazia sorridendo: ecco… anche il Giappone si è preso un pezzo del mio cuore… me ne resterà un po’ quando tornerò a casa?

Saliamo in nave e appena entro in cabina non resisto: riprovo il mio kimono…

Questo sarà il mio souvenir preferito!

Dopo una doccia ci rilassiamo un po’ e riceviamo da Rosario e Rosaria un invito per una pizza.

Avvisiamo Fulvia e Carlo che non ci saremo per cena e alle 20:00 ci troviamo al Ponte 2 con Rosario e Rosaria per salire insieme al Pummid’oro al Ponte 9.

Come sempre trascorriamo in loro compagnia un’ottima serata che termina con una camomilla, prima di ritirarci in cabina e crollare tra le braccia di Morfeo, non prima di aver sistemato gli zaini per domani: la Corea ci aspetta!

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